NAPOLI - E’ finita come tre settimane fa. Con i fischi e con la rabbia della gente del Napoli. Parlare solo di crisi, potrebbe non rendere l’idea. Perché qui i rivoli del malessere sono tanti e intricati. Cinque pareggi e una sconfitta, quattro punti nelle ultime sei gare, meno otto dalla zona Champions e meno diciassette dall'Inter. Sono questi i numeri che fotografano il disastro di una squadra in confusione. Senza identità e con poche gambe. Altro che puntare a un posto in Champions, piuttosto il Napoli deve guardarsi in classifica alle spalle. Non c’é solo l’eterna questione dei fuori ruolo e del turn over raccapricciante. Ci sono profonde falle nella triangolazione dei rapporti società-allenatore-squadra, ma ci sono ancora più chiari limiti nella gestione tecnica di Ancelotti. Niente schemi, anzi un solo ideale schema: pallone fai tu. Ora anche al di là della richiesta dell’allenatore di un faccia a faccia con la squadra - già, e sinora che è successo? Non si sono mai parlati? - esiste una questione di fondo: Ancelotti e il Napoli non sono più compatibili, almeno fin quando perdurerà questo stato di cose. Almeno sino a quando non rivedrà il suo sconcertante e perdente modello-campionato. Poi c’è il resto, De Laurentiis decida cosa vuol farne del club, tenerlo così, gestito come se fosse una ditta individuale, oppure dargli una governance più completa, che tale sia. Perché anche questa mancanza di quadri decisionali pesa sul Napoli che in campo non sa che fare. Come contro il Bologna, lì dove il Napoli s’allungava, si sbilanciava, diventava squilibrato. E per il Napoli il disequilibrio diventa una condanna. Perché senza di esso, il Napoli si offre sempre a chi gli sta di fronte. Perché anche contro il Bologna si è sciolto tra errori madornali in campo e in panchina. Brutta sconfitta che ora diverrà più ingombrante delle multe non risolte e dei ritiri contestati.