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IL ROMA - Carratelli: "Napoli, 4 maggio, è n'anno, ce pienze ch'è n'anno"
04.05.2024 11:57 di Redazione

Mimmo Carratelli, giornalista, ha dedicato spazio alla situazione in casa Napoli tra le colonne de "Il Roma": "E’ n’anno, ce pienze ch’è n’anno. Straziamoci con la voce e la chitarra di Roberto Murolo. Il 4 maggio dell’anno scorso era un giovedì. E fu il terzo scudetto del Napoli, lo scudetto di Spalletti e Osimhen (26 gol, capocannoniere del campionato) dopo le due vittorie con Maradona. Un anno dopo, com’è triste Napoli soltanto un anno dopo, peggio della Venezia nella canzone di Aznavour. Un fallimento bestiale. Un presidente egocentrico e disorientato. Tre allenatori annaspanti. Una squadra alla quale sarebbe mancata la voglia di vincere, come ha detto recentemente Calzona. Ma torniamo alla bella avventura di una stagione indimenticabile e maledettamente irripetibile. Il Napoli salì a Udine per prendersi finalmente la certezza matematica del terzo scudetto. Una formalità. Già a fine febbraio, il Napoli era in testa con 18 punti di vantaggio su Inter e Milan. A sei giornate dalla fine fallì in casa, contro la Salernitana (1-1), la vittoria matematica. Inutile il vantaggio con Olivera. A sei minti dalla fine, il senegalese Dia pareggiò e fu lo sgarbo nel derby di fratelli-coltelli. A Salerno fecero festa come se avessero vinto la Coppa dei campioni. Andammo in Friuli con questo scudetto sospeso, come si usa a Napoli solo col caffè. Lo spettacolare girone di andata (50 punti) aveva gettato le basi per la vittoria finale. Ci fu un calo nel ritorno (40 punti). Però mai in discussione il successo assoluto. Il Napoli vinceva dando spettacolo, applaudito anche in Europa. Al San Paolo furono montati dodici maxi-schermi per seguire la partita di Udine. Si giocò di sera. Spalletti tirò fuori due novità a sorpresa: Ndombele al posto di Zielinski ed Elmas al posto di Lozano. Spalletti poteva permettersi questo e altro. Uno stregone. Era entrato nelle teste degli azzurri convincendoli che erano i migliori del mondo. La stregoneria funzionò. Spalletti ci mise anche tutto il suo lavoro maniacale. Come un eremita si isolò in una modesta stanza a Castelvolturno per non staccarsi mai dal suo lavoro martellante. Poiché a Napoli ogni successo deve essere difficile e contrastato, a Udine cominciò male. Lo sloveno Sandi Lovric, uno che la porta non la vedeva mai, imbroccò l’unica stella filante della sua vita, un tiro maestoso col quale mandò il pallone nel “sette” alla sinistra di Meret. Udinese in vantaggio dopo una diecina di minuti. Roba da schiattarsi. Ogni limite ha una pazienza, avrebbe detto Totò. Al Napoli bastava il pareggio per arraffare l’ultimo risultato utile per la vittoria finale a cinque giornate dalla conclusione del campionato. Non fu per niente facile. Ci vollero quaranta minuti di spasimo sentimentale, di dolce angoscia, di avanti popolo per centrare l’obiettivo. Il pareggio arrivò dopo un’azione convulsa. Elmas batté un corner. Qualcuno respinse. Anguissa dalla linea di fondo indirizzò la palla indietro sull’altro lato dell’area friulana. Qui si fiondò a tutta forza Kavartskhelia che mollò una “botta” memorabile. Il portiere Silvestri respinse in tuffo e Osimhen, oh Osimhen, concluse in gol con lo storico tap-in del pareggio e dello scudetto matematico. Esplose finalmente la festa. Ma fu una festa a metà per i misteri, le incomprensioni, le gioie e le gelosie che accompagnano ogni felicità a Napoli. De Laurentiis festeggiò al San Paolo con i 50mila tifosi accorsi allo stadio per vedere la partita sui maxi-schermi. Non era andato a Udine. Si era innervosito per il pareggio con la Salernitana che gli aveva smontato la festa in casa. Non ci fu festa al ritorno della squadra campione d’Italia. L’aereo degli azzurri atterrò a Grazzanise anziché a Capodichino dove rimasero allocchiti diecimila tifosi pronti a tributare il trionfo ai campioni. E non ci fu il torpedone scoperto con la squadra a bordo per il giro in città. Tutto un cerimoniale fallito. Molti pensano che quei disguidi nella notte del Napoli campione d’Italia siano stati l’inizio delle fratture, delle fughe e del fallimento di un club che svilì lo scudetto a prima botta e lo ha poi perso disastrosamente quest’anno. Soltanto un anno dopo".

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IL ROMA - Carratelli: "Napoli, 4 maggio, è n'anno, ce pienze ch'è n'anno"

di Napoli Magazine

04/05/2024 - 11:57

Mimmo Carratelli, giornalista, ha dedicato spazio alla situazione in casa Napoli tra le colonne de "Il Roma": "E’ n’anno, ce pienze ch’è n’anno. Straziamoci con la voce e la chitarra di Roberto Murolo. Il 4 maggio dell’anno scorso era un giovedì. E fu il terzo scudetto del Napoli, lo scudetto di Spalletti e Osimhen (26 gol, capocannoniere del campionato) dopo le due vittorie con Maradona. Un anno dopo, com’è triste Napoli soltanto un anno dopo, peggio della Venezia nella canzone di Aznavour. Un fallimento bestiale. Un presidente egocentrico e disorientato. Tre allenatori annaspanti. Una squadra alla quale sarebbe mancata la voglia di vincere, come ha detto recentemente Calzona. Ma torniamo alla bella avventura di una stagione indimenticabile e maledettamente irripetibile. Il Napoli salì a Udine per prendersi finalmente la certezza matematica del terzo scudetto. Una formalità. Già a fine febbraio, il Napoli era in testa con 18 punti di vantaggio su Inter e Milan. A sei giornate dalla fine fallì in casa, contro la Salernitana (1-1), la vittoria matematica. Inutile il vantaggio con Olivera. A sei minti dalla fine, il senegalese Dia pareggiò e fu lo sgarbo nel derby di fratelli-coltelli. A Salerno fecero festa come se avessero vinto la Coppa dei campioni. Andammo in Friuli con questo scudetto sospeso, come si usa a Napoli solo col caffè. Lo spettacolare girone di andata (50 punti) aveva gettato le basi per la vittoria finale. Ci fu un calo nel ritorno (40 punti). Però mai in discussione il successo assoluto. Il Napoli vinceva dando spettacolo, applaudito anche in Europa. Al San Paolo furono montati dodici maxi-schermi per seguire la partita di Udine. Si giocò di sera. Spalletti tirò fuori due novità a sorpresa: Ndombele al posto di Zielinski ed Elmas al posto di Lozano. Spalletti poteva permettersi questo e altro. Uno stregone. Era entrato nelle teste degli azzurri convincendoli che erano i migliori del mondo. La stregoneria funzionò. Spalletti ci mise anche tutto il suo lavoro maniacale. Come un eremita si isolò in una modesta stanza a Castelvolturno per non staccarsi mai dal suo lavoro martellante. Poiché a Napoli ogni successo deve essere difficile e contrastato, a Udine cominciò male. Lo sloveno Sandi Lovric, uno che la porta non la vedeva mai, imbroccò l’unica stella filante della sua vita, un tiro maestoso col quale mandò il pallone nel “sette” alla sinistra di Meret. Udinese in vantaggio dopo una diecina di minuti. Roba da schiattarsi. Ogni limite ha una pazienza, avrebbe detto Totò. Al Napoli bastava il pareggio per arraffare l’ultimo risultato utile per la vittoria finale a cinque giornate dalla conclusione del campionato. Non fu per niente facile. Ci vollero quaranta minuti di spasimo sentimentale, di dolce angoscia, di avanti popolo per centrare l’obiettivo. Il pareggio arrivò dopo un’azione convulsa. Elmas batté un corner. Qualcuno respinse. Anguissa dalla linea di fondo indirizzò la palla indietro sull’altro lato dell’area friulana. Qui si fiondò a tutta forza Kavartskhelia che mollò una “botta” memorabile. Il portiere Silvestri respinse in tuffo e Osimhen, oh Osimhen, concluse in gol con lo storico tap-in del pareggio e dello scudetto matematico. Esplose finalmente la festa. Ma fu una festa a metà per i misteri, le incomprensioni, le gioie e le gelosie che accompagnano ogni felicità a Napoli. De Laurentiis festeggiò al San Paolo con i 50mila tifosi accorsi allo stadio per vedere la partita sui maxi-schermi. Non era andato a Udine. Si era innervosito per il pareggio con la Salernitana che gli aveva smontato la festa in casa. Non ci fu festa al ritorno della squadra campione d’Italia. L’aereo degli azzurri atterrò a Grazzanise anziché a Capodichino dove rimasero allocchiti diecimila tifosi pronti a tributare il trionfo ai campioni. E non ci fu il torpedone scoperto con la squadra a bordo per il giro in città. Tutto un cerimoniale fallito. Molti pensano che quei disguidi nella notte del Napoli campione d’Italia siano stati l’inizio delle fratture, delle fughe e del fallimento di un club che svilì lo scudetto a prima botta e lo ha poi perso disastrosamente quest’anno. Soltanto un anno dopo".